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L INDIA DOPO IL MUTINY

From IQBAL

Con la repressione inglese nel 1857, dopo il cosiddetto
ammutinamento o “Mutiny”, era scomparsa dalla scena del
subcontinente indiano la dinastia dei Moghul, peraltro già in
decadenza un secolo e mezzo prima, alla morte dell’ultimo
grande imperatore Aurangzeb, che aveva regnato per quasi
mezzo secolo, dal 1659 al 1707: Bahadur Shah II, imperatore di
nome per vent’anni, dal 1837 al 1857, fu deposto dagli Inglesi,
dopo un processo-farsa, e confinato a Rangoon, in Birmania,
dove morì dimenticato il 7 novembre 1862. Il “re di Delhi”, così
chiamato perché il suo potere non oltrepassava le mura della
cittadella della capitale, fu ricordato solo come poeta; in un noto
ghazal aveva scritto:
Il vento è all’improvviso mutato,
Triste e senza pace è il mio cuore.
Che dire del dolore e della tirannia?
Il mio petto è straziato dall’angoscia.
[...]
Coloro che un tempo vissero felici,
Sono ora ridotti in misera condizione.

Sino agli anni Ottanta del XIX secolo il governo dell’India
fu di tipo coloniale: l’interesse primario ed esclusivo del raj
britannico era l’esazione delle tasse. Solo con Lord Ripon, viceré
dal 1880 al 1884, si assiste ad un’apertura con l’introduzione del
principio dell’autogoverno locale, sanzionato da una legge
vicereale il 18 maggio 1882: si trattò di un processo che
gradualmente, anche se lentamente, portò al concetto di una
modernizzazione dello stato coloniale, e di conseguenza alla
modernizzazione delle due religioni maggioritarie, l’hinduismo e
l’islam. L’artefice del revival dell’Islam fu Sayyid Ahmad Khan,
nato nel 1817 da una famiglia aristocratica di Delhi legata ai
moghul; uomo maturo all’epoca della dissoluzione dell’impero,
da vent’anni al servizio degli Inglesi ai quali attribuiva
comunque la responsabilità del “Mutiny”, aveva capito che il
riscatto dei musulmani passava attraverso una collaborazione
con il raj britannico. Nel 1862 creò a Ghazipur una società
scientifica e letteraria con lo scopo di tradurre in urdu i più
importanti testi inglesi dell’epoca;due anni dopo, questa
istituzione fu trasferita ad ‘Aligarh. Dopo un soggiorno di
diciotto mesi in Inghilterra nel 1869-70, il Sayyid decise di
creare ad ‘Aligarh il Muhammedan Anglo-Oriental College
(1877), un college musulmano sullo stile di quelli di Oxford e
Cambridge, che nel 1920 diventò università, e di pubblicare un
mensile in urdu, Tahdhib al-Akhlaq (Riforma dei costumi), che
uscì regolarmente dal 1871 al 1882. Ahmad Khan fu il primo
musulmano moderno ad intuire i benefici della cultura
occidentale nella modernizzazione della sua comunità, ad
interpretare il Corano, la Sunna e la Sharia, a considerare la
comunità musulmana come un tutt’uno a sé stante; nel 1885,
quando fu fondato l’Indian National Congress, si dichiarò
contrario alla partecipazione dei musulmani a questo partito,
diventando in tal modo, inconsciamente, l’antesignano di uno
“stato” separato per i musulmani del subcontinente indiano. Lo
stesso atteggiamento il Sayyid mantenne nella questione
linguistica: l’hindustani patrocinato dagli inglesi era diventato
l’hindi del Congresso nella forma devanagari. A questo il Sayyid
opponeva l’urdu che, accanto al persiano, era da tempo la lingua
franca dei musulmani, scritta nella grafia arabo-persiana. Nelle
parole di Iqbal, Sir Sayyid Ahmad Khan “è stato probabilmente
il primo musulmano moderno a intravedere il carattere positivo
dell’era successiva. Il rimedio per i mali dell’Islam da lui
proposto, come pure dal Mufti Alam Jan in Russia, fu
l’istruzione moderna. Ma la vera grandezza dell’uomo consiste
nel fatto di essere stato il primo musulmano indiano a sentire la
necessità di un nuovo orientamento dell’Islam e di aver lavorato
in questa direzione. Si può non essere d’accordo con le sue
vedute religiose, ma non si può negare che la sua anima sensibile
sia stata la prima a reagire all’età moderna”.

Alla morte di Ahmad Khan nel 1898 la questione linguistica
passò nelle mani dei suoi due più stretti collaboratori, i navvab
Muhsin al-Mulk e Vaqar al-Mulk; quella politica fu portata
avanti dai fratelli Muhammad e Shaukat ‘Ali, che ebbero tanta
parte nella causa del califfato ottomano, e dall’Agha Khan, gran
signore che avrebbe riempito di sé le cronache mondane
dell’Europa del XX secolo.

Dal punto di vista letterario l’eredità di Ahmad Khan passò
al maulana Altaf Husain Hali (1837-1914) che fu anche il suo
biografo, oltre che di Ghalib di cui fu allievo ed amico.

L’episodio che troncò sul nascere una possibile entente
cordiale tra Hindu e Musulmani fu la decisione inglese di
dividere nel 1905 il Bengala, forse nel tentativo di ingraziarsi i
musulmani già penalizzati nella questione linguistica. La
regione, troppo vasta dal punto di vista amministrativo (80
milioni di abitanti), fu divisa in Bengala Occidentale e Bengala
Orientale con l’Assam scarsamente popolato; da notare che i
distretti orientali del Bengala erano a maggioranza musulmani.
In tal modo si crearono due Bengala, uno a maggioranza hindu,
l’altro a maggioranza musulmana (per inciso, il Bengala
orientale diventò nel 1947 il Pakistan orientale). Alcuni anni
dopo, nel 1911, la divisione del Bengala fu revocata creando
nuove proteste, questa volta tra i musulmani che, considerando
gli Inglesi non affidabili sul piano delle promesse, pensarono ad
un accordo diretto con il Congresso.

Nella nuova gestione post Ahmad Khan, erano sorte fra i
musulmani varie associazioni allo scopo di ottenere una
rappresentanza politica più salda e più sicura. Già da tempo
Sayyid Ahmad Khan aveva chiaramente detto che “il sistema
della rappresentanza per elezione significa la rappresentanza
delle opinioni e degli interessi della maggioranza della
popolazione, e che nei paesi in cui la popolazione è composta di
una sola razza ed un unico credo, questo è, senza dubbio, il
miglior sistema che si possa adottare. Ma in un paese come
l’India, dove ancora fioriscono le distinzioni di casta, dove non
c’è fusione fra le varie razze, dove i conflitti religiosi sono
violenti, dove l’istruzione in senso moderno non ha fatto un
uguale e proporzionale progresso fra tutti gli strati della
popolazione, non si può adottare il sistema elettorale puro e
semplice. La comunità più forte numericamente prevarrebbe su
quella meno forte”.

Il principio dell’esistenza in India di due nazioni –l’hindu e
la musulmana –era stato enunciato dallo statista musulmano
senza mezzi termini, anche se gli hindu non l’accettarono né
allora né dopo. Infatti il Mahatma Gandhi, scrivendo ad ‘Ali
Jinnah, la futura guida della nazione pakistana, il 15 settembre
1944, diceva: “Non trovo nella storia l’esempio di alcun gruppo
di neòfiti e loro discendenti che pretendano di essere una nazione
separata dalla stirpe originaria. Se l’India era una nazione prima
dell’avvento dell’Islam, deve rimanere una a dispetto del
cambiamento di religione da parte di un gruppo della
popolazione”.

Nel 1906 le associazioni musulmane confluirono in una più
forte e compatta, la Lega Musulmana: i musulmani si erano
destati dal loro torpore ed avevano creato un’organizzazione in
grado di dialogare con il Congresso. Nelmarzo del 1913 la Lega
approvava una mozione, presentata dal direttivo, simile nella
sostanza a quella del Congresso, ponendo così le premesse per
una futura cooperazione tra i due partiti.

Allo scoppio della Prima Guerra Mondiale, tutta l’India
(hindu, musulmani, raja e maharaja) si schierò così a fianco
dell’Inghilterra, convinta di poter ottenere in seguito
un’autonomia più ampia, se non addirittura l’indipendenza.

Terminata la guerra, l’India rimase delusa: il “Government
of India Act” del 1919 risultò un sistema contraddittorio poiché
concedeva la rappresentanza ma negava la responsabilità. I
rapporti tra musulmani e hindu peggiorarono e tutti quei
musulmani che sino ad allora erano stati favorevoli al Congresso
si dimisero poiché pensavano che il piano d’azione degli hindu
avrebbe messo in pericolo la loro comunità: fra questi anche ‘Ali
Jinnah,il futuro Qa’id-i-A’zamo Grande Guida della nazione
pakistana.

Vi fu ancora un riavvicinamento fra hindu e musulmani
durante il periodo dell’agitazione per il califfato ottomano:
Gandhi ed il Congresso sostennero le richieste musulmane circa
il mantenimento dello status quonell’Impero ottomano e la
continuazione della giurisdizione califfale sui luoghi santi del
Hijaz, nella penisola arabica, di Gerusalemme e dell’Iraq. Fu
però una collaborazione di breve durata. Dopo il 1923, con
l’abolizione del califfato da parte di Mustafa Kemal Atatürk, le

relazioni hindu-musulmane ritornarono ad essere quelle che
erano sempre state, cioè peggiorarono, rotte solo da qualche
sprazzo fugace di riavvicinamento dovuto più al desiderio di
trovare un momentaneo modus vivendi che un accordo duraturo.

Alla fine del 1928, in risposta alla relazione presentata al
Congresso da Motilal Nehru che chiedeva la costituzione
dell’India a dominion, fu tenuta a Delhi, sotto la presidenza
dell’Agha Khan, una Conferenza musulmana panindiana, la più
importante forse fra tutte quelle tenute durante il lungo cammino
verso l’indipendenza. In tale occasione fu approvata
all’unanimità una serie di principi fra i quali i più importanti
erano l’adozione di un sistema federale con completa autonomia,
elettorati separati, e un’adeguata rappresentanza dei musulmani
nei gabinetti delle provincie e in quello centrale.

Ben presto però ci si accorse dell’impossibilità di attuare un
governo federale in un’India unificata, in cui musulmani e hindu
avrebbero partecipato all’amministrazione del Paese in modo
attivo ed in comune accordo: il sogno panindiano incominciò a
perdere terreno per far posto invece all’idea di due Stati
indipendenti, l’uno a maggioranza musulmana, l’altro a
maggioranza hindu.

Nel frattempo la Lega Musulmana si era rafforzata e nella
sessione di Allahabad, il 29 dicembre 1930, Muhammad Iqbal
lanciò l’idea di una“nazione musulmana”:“Vorrei vedere il
Panjab, la Provincia di Frontiera Nord-occidentale, il Sindh ed il
Beluchistan, amalgamati in un unico Stato.L’autonomia entro
l’impero britannico o fuori di esso e la formazione di un
solido Stato musulmano nell’India nord-occidentale mi sembra che
siano ildestino finale dei Musulmani, almeno di quelli dell’India
nord-occidentale”.

Tre anni più tardi, un gruppo di studenti musulmani in
Inghilterra, guidati da Chaudhri Rahmat ‘Ali, fecero circolare
all’universitàdi Cambridge un opuscolo di quattro pagine con il
nome di quella che avrebbe dovuto essere la nuova nazione:
“Pakistan è una parola persiana e urdu. È composta con le lettere
prese dai nomi di tutte le nostre madre-patrie ‘indiane’ e
‘asiatiche’, cioè Panjab, Afghania (Provincia di Frontiera Nord-
occidentale), Kashmir, Iran, Sindh (inclusi Kutch e Kathiawar),
Tukharistan, Afghanistan e Baluchistan. Significa la terra dei
Pak -i puri spiritualmente; simbolizza le fedi religiose e la
derivazione etnica delle nostre genti; e sta per tutti gli elementi
territoriali costituenti la nostra originaria terra madre”.

Un ultimo tentativo di conciliazione tra hindu e musulmani
furono le tre Conferenze della Tavola Rotonda a Londra negli
anni 1930-1932: in quelle riunioni furono discussi i vari
problemi sul futuro dell’India e si cercò, per l’ultima volta, un
accordo tale da consentire l’attuazione dell’ideale
dell’indipendenza con l’unione di tutte le genti del sub-
continente indiano, senza distinzione di razza, r
eligione o cultura. In altri termini si giocò l’ultima carta per un’India
unificata; ma le incomprensioni e più ancora la scarsa identità di
vedute esistente all’interno delle stesse delegazioni hindu e
musulmana fecero comprendere che era necessario raggiungere
contemporaneamente l’indipendenza e la spartizione, se si
desiderava evitare spargimenti di sangue e maggiori lutti a mezzo
miliardo di uomini.È in questo periodo che torna alla ribalta ‘Ali Jinnah:
dopo la seconda Conferenza della Tavola Rotonda il brillante avvocato
s’era ritirato in volontario esilio in Inghilterra, poiché -come
disse più tardi -“non si sentiva capace di aiutare l’India o mutare
la mentalità hindu, né poteva contribuire a risolvere la precaria
posizione dei musulmani”.La permanenza di Jinnah in
Inghilterra fu però breve. Nel 1935, soprattutto per merito di
Liyaqat ‘Ali Khan,futuro Primo Ministro del Pakistan, Jinnah
si convinse dell’opportunità di ritornare in patria per mettersi alla
testa del movimento musulmano. La Lega, che era quasi
scomparsa, tornò a nuova vita, divenendo sempre più forte e
compatta, anche se le elezioni del 1937 erano state un
insuccesso: infatti del 30% dei voti andati ai musulmani, solo il
5% era toccato ai candidati della Lega, tanto che Jawaharlal
Nehru ebbe a dire che due sole forze esistevano ormai nel
Paese, il Congresso e l’Inghilterra.
Lo scoppio della seconda guerra mondiale portò ad un
aumento del malcontento generale in tutta l’India, anche se i
principi s’affrettarono, come di consueto, ad aiutare l’Inghilterra.
La situazione fra hindu e musulmani raggiunse momenti di grave
tensione: mentre il Congresso, riunito a Ramgarh, denunciava la
Gran Bretagna di combattere una guerra a scopi imperialistici, la

composto con membri del Congresso e si preparò a passare
all’azione diretta. ‘Ali Jinnah invitò i suoi correligionari alla lotta
con uno storico discorso, conclusosi con le parole del poeta
persiano Firdusi: “Se voi cercate la pace, noi non vogliamo la
guerra. Ma se voi volete la guerra, noi l’accetteremo senza
esitazione”.Sanguinose rivolte scoppiarono ovunque, in particolare a
Calcutta nel Bengala, a Bombay e nel Panjab. Tutto faceva
presagire lo scoppio di una lunga e sanguinosa guerra civile che
Jinnah aveva profetizzato come inevitabile se l’India avesse
ottenuto l’autonomia senza la creazione di due nazioni. Man
mano i mesi passavano, la situazione si faceva sempre più grave
finché il 20 febbraio 1947 il governo laburista, nel disperato
tentativo di porre fine a quelle sanguinose lotte, annunciò che al
più tardi del giugno 1948 l’India avrebbe ottenuto l’autonomia in
una maniera conforme alle esigenze e agli interessi delle varie
comunità. Due mesi più tardi Nehru, che nel frattempo aveva
sostituito Gandhi nella direzione del Congresso, si adattò all’idea
della spartizione.Il nuovo viceré Lord Mountbatten presentò il 3 giugno un
piano per la spartizione annunciando che la data fissata per
l’indipendenza e la separazione sarebbe stata anticipata al 15
agosto. In luglio il Parlamento approvò l’Atto di Indipendenza
secondo il quale l’India era divisa in due nazioni indipendenti,
ognuna con il rango di dominion, mentre i vari Stati indiani
erano liberi di accedere all’uno o all’altro Stato; veniva inoltre a
cessare la sovranità inglese sugli Stati indiani e con essa tutti i
trattati e gli accordi in vigore tra la Gran Bretagna e i sovrani
indigeni. Come stabilito, alla mezzanotte tra il 14 e il 15 agosto 1947
nascevano le due nuove nazioni dell’India e delPakistan. Il
vecchio impero britannico -per adoperare le parole dell’Agha
Khan -s’era dissolto “come la prima nebbia del mattino sotto la
sferza del sole”.